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Leóš Janáček

Ultimo Aggiornamento: 24/02/2008 18:54
24/01/2008 01:44
 
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un grande compositore ingiustamente nell'ombra
Devo ringraziare il nostro Janacek80 per avermi fatto scoprire l'opera pianistica di Janacek, che mi ha colpito fin dal primo ascolto. Il compositore ceco, vissuto tra il 1854 e il 1928, si distingue per uno stile personalissimo e soluzioni armoniche fino ad allora inesplorate, nonché per un fortissimo legame alla sua terra d'origine e alla tradizione musicale ceca, sempre vivo nelle sue composizioni.

Purtroppo conosco per ora soltanto le opere per pianoforte e il Concertino e il Capriccio per pianoforte e ochestra (di cui è disponibile un'incisione di Goulda!), ma spero che qui avrò modo di approfondire [SM=g8299]

Intanto consiglio - soprattutto ai pianisti - di ascoltare "On an overgrown path" e "In the mists" [SM=g8362] [SM=g8362] [SM=g8362]
06/02/2008 16:38
 
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Ehilà, che bello! Nel tempo libero preparo un bell'inquadramento storico di Janacek (sia chiaro, contenente una visione del tutto personale, anche se mutuata in parte da "I testamenti traditi" di Kundera, il libro che mi ha fatto scoprire quest'autore. Sapevate che Kundera è un esperto di musica ed è stato anche jazzista in gioventù?). Appena ce l'ho pronto, lo posto (scusate, qui negli Internet Point non ho molto tempo di riflettere e di scrivere cose intelligenti).
Grazie a te Aestathis per avermi offerto un'occasione così ghiotta. Purtroppo non ho tempo abbastanza, mannaggia...
07/02/2008 00:15
 
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Re:
Janacek80, 06/02/2008 16.38:

Ehilà, che bello! Nel tempo libero preparo un bell'inquadramento storico di Janacek (sia chiaro, contenente una visione del tutto personale, anche se mutuata in parte da "I testamenti traditi" di Kundera, il libro che mi ha fatto scoprire quest'autore. Sapevate che Kundera è un esperto di musica ed è stato anche jazzista in gioventù?). Appena ce l'ho pronto, lo posto (scusate, qui negli Internet Point non ho molto tempo di riflettere e di scrivere cose intelligenti).
Grazie a te Aestathis per avermi offerto un'occasione così ghiotta. Purtroppo non ho tempo abbastanza, mannaggia...




ooooh finalmente :)

aspettavo proprio il tuo intervento, l'esperto sei tu! :P

comunque mi chiami sempre Aestathis, ma la "e" non c'è XD
07/02/2008 01:31
 
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non conosco molto di lui ma la sonata per violino e piano è bellissima

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"La polizia postale!"
07/02/2008 02:08
 
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conosco la messa glagolitica e mi fa schifo
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nella mia bocca c'è un party dove vomitano tutti
08/02/2008 18:47
 
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Scusa Astathis, a volte il latino nuoce gravemente alla salute. [SM=g8119]
Fry, la Glagolskaja è splendida, ma impattare direttamente in quella non è l’inizio migliore (tremo al solo pensiero di cosa sarebbe successo se tu avessi incocciato, come prima cosa, nel Diario di uno scomparso. Io ti consiglio un inizio soft con la Sinfonietta e il Taras Bulba, e magari anche il sestetto Mladì –fra l’altro, tutta questa roba è disponibile in un doppio CD “Double Decca”-, per poi allargare lo sguardo alle opere per pianoforte e ai Quartetti e poi alle composizioni per coro. Non so dirti a che punto del cammino può venire la Glagolskaja, ma insomma, non certo al primo. Le opere liriche poi sono un problema anche per me).

Semplificando molto, si potrebbe dire che in musica sono esistiti, storicamente, tre modi per uscire dal Romanticismo: il primo è quello che potremmo chiamare scherzosamente “la musica degli insensibili”, e quindi Debussy, Ravel, Satie e soprattutto Stravinsky, i quali negavano di voler comunicare sentimenti: Debussy preferiva comunicare sensazioni, Ravel si spinse oltre e si dedicò alla perfezione artigianale delle proprie composizioni, Stravinsky infine scrisse che “la ragion d’essere della musica non risiede nell’espressione dei sentimenti” e che considerava “la musica, a cagione della sua essenza, impotente ad esprimere alcunché”. L’altra opzione fu il fare esattamente il contrario, selezionando alcuni stati emotivi molto forti (l’allucinazione, la follia) e portandoli all’esasperazione: è quel che fece l’espressionismo, che fu particolarmente adatto ad esprimere lo stato d’animo degli intellettuali fra le due guerre. La terza possibilità è la meno studiata e la meno famosa, ma è altrettanto interessante: è quella di Janacek. Kundera l’ha descritta assai bene nei suoi Testamenti traditi. Confesso che la lettura di quel libro ha spalancato ai miei occhi un mondo intero, quello del Novecento, che in precedenza avevo trascurato.
Janacek non rimproverò ai romantici l’aver parlato dei sentimenti, ma l’averli falsificati. Nella musica romantica le emozioni erano create ad arte, il loro succedersi o entrare in contrasto era regolato dai principi di una forma (la forma-sonata essenzialmente), che stabiliva come i temi dovessero susseguirsi e mescolarsi. Non solo: ma stabiliva anche la successione dei climi emotivi, da un drammatico o affermativo Allegro ad un meditativo Adagio, generalmente nella forma A-B-A, a un Minuetto (Scherzo, a partire da Beethoven), a un altro Allegro in forma di rondò. Gli inconvenienti sono due: innanzitutto il movimento più importante, per complessità e spessore emotivo, risultava il primo, per cui la sinfonia si strutturava come una sorta di diminuendo d’espressione. In secondo luogo, la seconda parte dell’opera rischiava di essere incongrua alla prima: dopo il drammatico Allegro e il meditativo o doloroso Adagio, “immaginiamo”, scrive Kundera, “che tutti i grandi sinfonisti, compresi Haydn e Mozart, Schumann e Brahms, dopo aver pianto nei loro Adagio, si travestano, nell’ultimo movimento, da scolaretti e si precipitino nel cortile della ricreazione per ballare, saltare e gridare a squarciagola che tutto è bene quel che finisce bene”. Di fatto ogni compositore finì per rimediare al problema strutturarando le sue sonate e sinfonie secondo una forma propria, caratteristica di quell’opera e non più ripetibile: Beethoven le provò tutte, dalla forma “aforistica” della Sonata op.111 al coro che irrompe nel finale della Nona. Ma anche il “classico” Brahms fu costretto a concludere la Quarta con una Passacaglia.
Glenn Gould si spinse ancora oltre nella critica e sostenne che la forma-sonata, con la sua contrapposizione fra primo tema “maschile” e secondo tema “femminile” aveva rappresentato un impoverimento, una semplificazione rispetto alle possibilità della “variazione continua” tipica delle forme del Seicento, in primis la fuga. Coerentemente, escluse dalla sua lista di compositori preferiti tutti gli autori vissuti fra Bach e Wagner ed elesse a proprio autore prediletto Orlando Gibbons.
Noi oggi abbiamo storicizzato ed interiorizzato queste cose, ma un musicista di fine Ottocento e di area non tedesca era non di rado imbarazzato da questi problemi, nonché dal contrasto, all'interno di uno stesso pezzo, fra parti "ispirate" e parti frutto di esigenze della forma. Così Musorgskij, davanti alla partitura della Seconda di Schumann, indicò lo sviluppo del primo movimento e disse: "Qui comincia la matematica musicale".
Certo è che a un certo punto si cominciò a sacrificare la forma alle intenzioni espressive, fino alle dilatazioni di Mahler. Ma, malgrado tutto, rimaneva l’esigenza di dare alla Sinfonia e alla Sonata, ed ancor più ai singoli movimenti, un assetto unitario. La Quinta di Mahler, che comincia con due tempi drammatici e continua con uno zuccheroso ed uno fintamente sereno, dopo la gigantesca parentesi di uno Scherzo selvaggio e rutilante, si beccò da un suo analista l’appellativo di “mostro spirituale”.
Dove voglio arrivare? A Janacek. Janacek nutrì verso le convenzioni formali ed espressive dell’Ottocento una ripulsa pari a quella di Verdi per le convenzioni del teatro musicale. Come Verdi, voleva qualcosa che fosse più vicino alla realtà. Studiò appassionatamente il canto popolare moravo, ma non solo: trascrisse in note le inflessioni delle parole e delle frasi della lingua ceca, e perfino i suoni e i rumori della strada. Come Mussorgsky, voleva inventare il realismo in musica: ma, da artista del Novecento, voleva procedere in modo scientifico. E così inventò una musica dove il succedersi e il sovrapporsi delle emozioni seguiva un percorso simile a quello di un flusso di coscienza: nostalgia, felicità, furore, pace rotolavano l’uno dentro l’altra, s’alternavano ed arrivavano perfino a sovrapporsi. Perché il flusso di coscienza musicale, diversamente da quello verbale, ha la possibilità del contrappunto emotivo. Alla fine della Sinfonietta, la fanfara iniziale degli ottoni ritorna in una veste trionfale, ma gli archi le si sovrappongono con un disegno che ricorda delle grida confuse d’uccelli, uno stridere disperato e vivace. L’effetto è quello di un pandemonio di emozioni contrastanti. Per rendere l’idea, qualcosa di simile al tumulto che dovettero provare gl’italiani dopo la Liberazione e alla fine della guerra, quando la gioia per la fine del fascismo si mescolava al pianto dei morti ammazzati. E’ come se il trionfo fosse conseguito a prezzo di tanti dolori, come se dietro l’ora della festa già si presentisse la fatica della vita che verrà. E non è così che succede, infatti, nella realtà? Quante volte riusciamo a dare un nome preciso a un sentimento, sì che alla parola “nostalgia” corrisponda una e una sola emozione? Quante volte riusciamo ad isolare un sentimento o a tenerlo fermo nel tempo? Forse soltanto quando siamo innamorati per la vita: e difatti c’è chi dice che si ama una volta sola. Ma quante volte proviamo un’emozione sola alla volta? Non somiglia il nostro flusso emotivo a quello di Janacek piuttosto che al primo movimento dell’Eroica? La sfida di Janacek consistette nel donare all’arte delle forme che anziché essere costruite… ad arte, rispecchiassero fedelmente la realtà. Per questo creò melodie che imitavano le cadenze della lingua parlata, i rumori della vita quotidiana, e le dispose in un ordine apparentemente caotico, ma in realtà regolato dal rigore del suo spirito d’osservazione e di penetrazione psicologica. Per questo scrisse una Sinfonietta e non una Sinfonia, una “rapsodia sinfonica” (Taras Bulba) e non un poema sinfonico, un Concertino e non un Concerto… Fin dove poté, evitò le forme tradizionali: la sua Sonata più celebre, intitolata Dalla strada, è in due movimenti, uno impetuoso e uno contemplativo, proprio come la 111, la Msa Glagolskaja somiglia a tutto, tranne che a una Messa tradizionale. Il maggiore impegno lo profuse nella lirica, che gli offriva possibilità realistiche inedite. Usò il Quartetto per sperimentare una sua versione della forma ciclica basata sul ritorno ossessivo di alcune cellule motiviche (emblematico è il titolo del primo Quartetto, La sonata a Kreutzer, che si rifà al romanzo di Tolstoi sulla gelosia omicida). Scrisse sempre “musica a programma”, ispirata alla letteratura slava (Taras Bulba è il protagonista di una novella di Gogol’) e addirittura a fatti di cronaca (la sonata Dalla strada “racconta” la morte di un operaio durante una sommossa). Tutto, in lui, era regolato in funzione espressiva. Nelle composizioni orchestrali, sono sempre poche le linee strumentali che si sovrappongono. Non c’è nulla di riempitivo. Solo ciò che è espressivo ha diritto di cittadinanza nella sua musica. Fu un espressionista nel senso etimologico della parola, ma un espressionista che seguì una strada tutta sua. Anziché quella dell’allucinazione, quella di un realismo perseguito con ostinata pervicacia. Nonj c'è da stupirsi che questo compositore nato nel 1858 scrisse i suoi primi lavori importanti solo ad inizio Novecento, e che -caso unico nella storia della musica, credo- conobbe la sua massima vitalià crativa negli anni Venti, morendo incidentalmente a settant'anni (1928) con una discreta quantità di opere incompiute sul tavolino.
C’è una sua cantata per coro, I settantamila (CD Naxos), ispirata se non erro alla vita dei lavoratori di una cava, che è tutto un rigurgito di grida, richiami, onomatopee… qualcosa che ricorda lo Janequin di La guerre. Anche Janequin fu un artista onomatopeico, e per questo fu sempre trattato come un minore dall’idealismo che andava per la maggiore.
Naturalmente qui si pone il problema di quanto l’arte possa avvicinarsi alla vita senza distruggersi. Per il Beethoven della Pastorale “ogni pittura in musica, portata troppo avanti, si perde”, e la sua Sinfonia doveva essere “più un’espressione del sentimento che una descrizione”. Janacek parte da presupposti contrari e la sua musica è deliberatamente onomatopeica: come se tutta la sua opera discendesse dal canto d’uccelli o dal temporale che nella Pastorale erano solo episodici.
Per me (e sottolineo che si tratta di una mia idea personale) si apre qui un altro capitolo, quello della parentela, o meglio del rapporto speculare tra l’onomatopea di Janacek e il Naturlaut mahleriano. Il Naturlaut, in effetti, è una “voce della natura” che entra in un discorso altamente stilizzato, e, a ben guardare, è altamente stilizzata anch’essa. Ha il valore di un simbolo, di un presagio, di un ideogramma spirituale. E’ la chiave di volta del complesso rapporto in Mahler tra mondo terrestre e mondo celeste, tra concretezza ed astrazione, che Quirino Principe ha analizzato così bene.
Ma forse i problemi che ci stiamo ponendo sono oziosi. Janacek ha dimostrato che si può fare della grande arte onomatopeica, e porsi il problema di se l’onomatopea può diventare grande arte fa parte di quella fissa di noi occidentali per cui conta solo ciò ch’è “spirituale”, “astratto” ed “essenziale”. Forse dovremmo iniziare a pensare che l’ “essenziale” è molto più ricco, più ridondante e più sporco di quanto abbiamo creduto fino ad ora. Che, a procedere sempre e comunque per sottrazione, si rischia di rimanere senza niente in mano.
Forse, se Janacek non fosse rimasto sconosciuto per così tanto tempo, la sua opere sarebbe diventata la base di una rivoluzione nel modo di concepire l’arte musicale: una rivoluzione diversa da quelle coeve. Janacek aveva affrontato il problema in un modo primitivo, radicale, e solo la sua genialità in effetti aveva potuto risolverlo in grandi creazioni di musica. Magari, a quest’ora, saremmo un po’ più avanti lungo la strada indicata da Janacek… se qualcuno l’avesse continuata.

Scusate la logorrea, ma voi mi sfidate... e io rispondo. [SM=g8117] [SM=g8226]
08/02/2008 20:15
 
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ahahha ma una che risponde "lo conosco poco ma mi fa schifo" avrà mai la forza di leggere la tua risposta? grazie per la fiducia...
appena trovo tempo e voglia rispondo (credo leggerò a rate)

edit: ah! con la prima rata ho scoperto che la parte per me erano solo le prime 3 righe, che dire.. evviva!
proverò ad ascoltare qualche pezzo che consigli, ciao
[Modificato da Fry. 08/02/2008 20:17]
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nella mia bocca c'è un party dove vomitano tutti
08/02/2008 20:34
 
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grazie janacek !
Ho letto tutto il tuo intervento [SM=g8226], è l'ho trovato interessantissimo.
Ma quello che mi viene spontaneo chiedermi è: che scopo ha il realismo all'interno della musica? Se da un lato è vero che la forma classica tende a stilizzare i sentimenti propri dell'animo umano, dall'altro è anche vero che questa stilizzazione è forse la caratteristica che rende la musica così diversa dalle altre arti.
Perchè mai la musica dovrebbe rappresentare fedelmente la realtà?
Non ha senso cercare una rappresentazione di qualcosa che conosciamo così bene. Il tono è un mondo idealizzato, ideale direi: l'adagio di una sinfonia contiene in se quei sentimenti di cui abbiamo bisogno e che magari non troviamo nel nostro ordinario vivere: è questa meraviglia che rende la musica insostituibile.

Ah un'altra cosa: trovo molti punti di contatto tra Janacek e Scriabin, entrambi si disfano della forma sonata e prediligono un flusso continuo in continuo mutamento, ma Scriabin è lungi dal essere realista.
Esso rappresenta con estremo realismo l'inverosimile...





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09/02/2008 15:22
 
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Certo, Vlad. Ma il mio intervento non voleva esser polemico (il modo in cui mi sono espresso poteva dar l'idea, scusate). Ovviamente, l'arte di Janacek non si esaurisce nel suo realismo (basti pensare a un lavoro come Sul sentiero di rovi: così grondante di dolore, di un dolore che va oltre il dato esistenziale del lutto e diviene rappresentazione musicale di TUTTO il dolore possibile). Ed è anche ovvio che la sua non è l'unica strada percorribile. Però pensa a quanto è stato importante il realismo per i compositori di area slava a fine Ottocento. Musorgskij, tanto per citarne uno. E ricordiamo che senza un Musorgskij non ci sarebbe stato, forse, neanche uno Stravinsky, neanche uno Shostakovich.
La strada del realismo era una delle strade possibili nel momento della dissoluzione delle forme. Il fatto è che in Europa occidentale c'è un pregiudizio positivo nei riguardi dell'idealismo e un pregiudizio negativo verso il realismo. Io non intendevo esser polemico verso l'idealismo, quanto piuttosto porre una domanda: perché scartare a priori l'ipotesi realistica? Tieni conto, poi, che per Janacek "realismo" significa, prima ancora che realismo "sonoro" (l'aspetto onomatopeico della sua musica), realismo psicologico. E', per intenderci, qualcosa di molto radicato nell'anima slava: pensa alle altre arti, pensa a Dostoevskij. Ma pensa anche a quanto il fantastico, nella cultura slava, abbia una sua dimensione epica, corale, e quindi greve di realismo: pensa allo Chagall della prima metà della sua vita.
E poi, pensa a quanto, nel Novecento più radicale, la strada del realismo, anche onomatopeico, sia stata tentata con successo: la musica concreta, tanto per dirne una.
Insomma, non volevo dire che quella del mio eponimo era la strada principe, la "via sine qua non"; però volevo sottolineare il fatto che il pregiudizio negativo nei riguardi del realismo (psicologico e sonoro) ha di fatto escluso alcune possibilità di ricerca che potevano invece essere saggiate, e che di fatto erano latenti nel lavoro di compositori di area non tedesca. (Shostakovich è spesso di un realismo impressionante: ma pensa al fatto che anche Debussy, colui che forse ha rappresentato per la musica un punto di non ritorno, parte da presupposti estetici discutibili in un'ottica tradizionale idealistica, quelli della "rappresentazione" in musica di sensazioni extramusicali; e anche lui, come Musorgskij, si trovava a disagio con certa letteratura romantica e con le convenzioni della forma, tanto da dire con ovvia esagerazione che le sinfonie di Schumann e quelle di Caikovskij "si contendevano la palma della noia"... come vedi non c'è bisogno di andare tanto lontano per trovare disagi analoghi nei riguardi dell'idealismo puro: la Francia è in Europa centrale. Va da sé, poi, che ciò che conta è il prodotto musicale "puro", che deve funzionare in sé e secondo la sua logica interna, puramente musicale: ma è il modo in cui il compositore deve reperire tale logica a non essere univoco: Janacek ha dimostrato che si possono creare grandi cose anche attingendo a una logica "altra", e questo secondo me è affascinante. Fermo restando, naturalmente, che altre logiche sono altrettanto valide e forse anche di più. Ripeto, quello del mio omonimo è stato un esperimento. Un esperimento, a mio avviso, affascinante e che meritava di essere studiato e continuato più di quanto non sia effettivamente accaduto.
Tutto qui. [SM=g8119]
09/02/2008 15:26
 
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grazie della risposta jana! [SM=g8119]



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09/02/2008 15:31
 
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Re:
volodya, 09/02/2008 15.26:

grazie della risposta jana! [SM=g8119]



Et de quid? (latinus maccaronicus) [SM=g8226]
M'interessa il parallelo che tu hai fatto con Skrjabin, autore col quale io non riesco a entrare in sintonia...
09/02/2008 22:02
 
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azz grazie non le sapevo tutte ste cose su janacek...interessante il discorso linguistico, del resto se studiava la musica popolare morava credo che gli stessi canti popolari derivassero dall inflessione linguistica, come in altri casi mi sembra che succeda.
ma non era slovacco manco per idea ve?



"Non ho bisogno di consigli sull'archetto perchè ho comprato assieme al violino un libricino che spiega tutto su come manovrarlo."
24/02/2008 18:53
 
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Cla', sei teribbile... [SM=g8119] [SM=g8226] [SM=g8360] Che io sappia era boemo, il nome del suo villaggio natale ora non me lo ricordo, è una cosa impronunciabili, ma visse buona parte della sua vita a Brno.
Però, per ideologia era, più ancora che boemo, ceco o slovacco, panslavo: difatti, per esempio, trasse i soggetti delle sue composizioni da Dostoevskij, da Gogol', da Tolstoi (Da una casa di morti, Taras Bulba, La sonata a Kreutzer). Era un tipico esponente di quel "socialismo conservatore" misticheggiante, patriottico e slavofilo in cui rientrano anche i suoi scrittori preferiti.
E comunque, s'interessò moltissimo del canto moravo: purtroppo, non poté, come Bartok, raccogliere i risultati delle sue ricerche su un fonografo perché morì troppo presto per conoscere questa tecnologia (almeno a un decente grado di sviluppo).
Del resto, anche Bartok, magiaro, s'interessò del canto romeno. Segno che, forse, l'apposizione "nazionalisti", riferita a questi grandi del Novecento, è un po' riduttiva. [SM=g7535]
[Modificato da Janacek80 24/02/2008 18:54]
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